Management

“Abbiamo sempre fatto così”. Non è un’opzione.

Le sfide del futuro ci chiederanno sempre più spesso di “cambiare pelle”, di modificare la nostra cultura organizzativa, di accogliere nuove esperienze, di acquisire nuove conoscenze.

Se vogliamo avere al nostro fianco persone motivate a intraprendere questi cambiamenti, dobbiamo essere capaci di indicare con precisione dove siamo, dove vogliamo andare e il percorso necessario per arrivarci.

Credit
Massimo Berlingozzi – “UNA GUIDA PER REALIZZARE LE NOSTRE POTENZIALITÀ” – UNIVERSO CONSULENZA – SETTEMBRE 2017_HARVARD BUSINESS REVIEW

Molti anni fa Konrad Lorenz, il famoso etologo viennese premio Nobel per la medicina nel 1973, raccontò una storia molto interessante durante una sua conferenza.

I protagonisti della storia sono due cani, il primo a spasso con il suo padrone, il secondo all’interno del giardino della villa dei suoi proprietari.

Tutti i giorni, durante il rito quotidiano della passeggiata, i due cani si affrontano, separati dalla recinzione, mostrando una fortissima aggressività. Fino a quando un giorno, nel bel mezzo della loro disputa, trovano il cancello aperto. E cosa fanno i due cani che finalmente potrebbero trasformare in azione l’aggressività così a lungo manifestata? Tornano indietro, fino a ritrovare la rete che li separa, e riprendono a fare quello che hanno sempre fatto.

La morale di questa storia, solo apparentemente paradossale, è molto chiara, e la riflessione che ne consegue davvero ricca di significato per le analogie con il comportamento degli individui e delle organizzazioni.

Il fenomeno della resistenza al cambiamento affonda le sue radici nel meccanismo biologico dell’omeostasi: la capacità dei sistemi viventi (ma così si comportano anche le organizzazioni) di mantenere in equilibrio la loro struttura interna indipendentemente dalle perturbazioni ambientali.

Ma cosa accade quando l’equilibrio interno si rivela non più funzionale a richieste di cambiamento più forti, o del tutto inaspettate, che arrivano dall’esterno?

È proprio in queste situazioni che la resistenza al cambiamento si manifesta attraverso comportamenti inefficaci e soluzioni paradossali: tentativi di mantenere inalterate le strategie di risposta consolidate, anche se ormai apertamente disfunzionali.

Mutare schema, osservare le cose da un nuovo punto di vista, cambiare paradigma, sembra essere la vera difficoltà.

Può essere utile, a titolo di esempio, ricordare la vicenda emblematica della Kodak.

Fu un suo ingegnere (Steven Sasson) a creare nel 1975 il primo prototipo di apparecchio fotografico digitale, ma il board aziendale rifiutò quel progetto, perché rendeva inutile l’oggetto (la pellicola) che era all’origine della fortuna e del successo dell’azienda.

Nel 2012 la Kodak, un gigante dell’imprenditoria nordamericana, dichiara il fallimento.

Comprendere l’origine della resistenza è un passo molto importante per costruire un’efficace strategia.

A volte la resistenza è un problema di natura meramente cognitiva: una mancanza di flessibilità nell’affrontare schemi, modelli e procedure che si discostano da quanto conosciuto in precedenza. Sicuramente più complessa si presenta la situazione quando la resistenza è di natura emotivoidentitaria.

In questi casi la difesa assume spesso una valenza conflittuale, perché il soggetto (individuo o gruppo) si sente minacciato sul piano dei valori, fino a vivere il cambiamento come l’abbandono completo degli scopi e delle motivazioni alla base della sua identità.

Gli studi sul cambiamento hanno evidenziato molto bene l’importanza e il valore della consapevolezza e la prima difficoltà risiede proprio in una corretta e lucida visione del problema.

Proviamo quindi a indicare in successione i passi necessari per una efficace gestione di questi processi:

Definire in modo chiaro la situazione attuale:

In questa fase l’utilizzo di uno strumento capace di restituire un’analisi precisa, dettagliata e condivisa (prevedendo il coinvolgimento di persone a più livelli dell’organizzazione) rappresenta un aiuto concreto per indicare le aree di miglioramento, evitando interpretazioni soggettive e distorsioni percettive.

Valutare le soluzioni sperimentate: alla prima fase di analisi deve seguire un percorso di consapevolezza teso a comprendere la natura delle resistenze che si sono manifestate, o che siamo in grado di prevedere, insieme alle eventuali tentate (e fallite) soluzioni.

Definire il cambiamento che vogliamo realizzare: descrivere con precisione dove vogliamo arrivare.

Stabilire un piano per realizzare il nostro obiettivo: una concreta definizione di mezzi, strumenti, risorse e tempi per realizzare il cambiamento desiderato.

Le sfide del futuro ci chiederanno sempre più spesso di “cambiare pelle”, di modificare la nostra cultura organizzativa, di accogliere nuove esperienze, di acquisire nuove conoscenze.

Se vogliamo avere al nostro fianco persone motivate a intraprendere questi cambiamenti, dobbiamo essere capaci di indicare con precisione dove siamo, dove vogliamo andare e il percorso necessario per arrivarci.

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